La speranza cristiana  in Pio da Pietrelcina di Giuseppe Maria Antonino

I documenti ecclesiali, e in particolar modo le encicliche papali, sembrano segnare dei periodi particolari nella storia della Chiesa, o spesso sono sigillo autorevole di una riflessione teologica che, in certo modo, è oggetto di interesse comune nel mondo ecclesiale. Ne è un esempio l’ultima lettera di Benedetto XVI Spe salvi, che riprende il tema della “speranza cristiana” discusso durante il Sinodo di Verona.

Assistiamo oggi alla cosiddetta crisi dell’uomo post-moderno: se nel periodo dell’immediato secondo dopo-guerra la società - ferita dalla paura della fame e della miseria - tende a valorizzare quanto più possibile l’economia e il progresso, attualmente ci troviamo di fronte ad un uomo “cittadino del mondo” ripiegato su se stesso, deluso dalle troppe speranze riposte nei beni transitori, non più fiducioso nei valori umani e cristiani che, se pure apprezza, guarda da lontano come pura utopia; un rimedio per i più è nel vivere alla giornata, cercando di accapparrare quanto più benessere possibile per rendere meno amara la convivenza con gli altri, oppure rifugiarsi in movimenti pseudo-religiosi i quali intendono soddisfare l’anelito al trascendente che l’uomo ha in sè, ma che  non portano alla piena unione con Dio nella pienezza della Verità rivelata.

Anche il cristiano oggi rischia di lasciarsi travolgere da questo vortice di “disperazione collettiva” che affievolisce la fede e rende il cuore umano incapace e pauroso di amare, ripiegato sul suo egoismo.

Una risposta francescana di Dio all’uomo della post-modernità che lo cerca nel buio è senz’altro padre Pio da Pietrelcina. Perchè tanto concorso di popolo presso la sua tomba? Perchè una così vasta diffusione delle sue immagini nelle piazze, per le corsie degli ospedali,  nelle case, e perfino sui grossi mezzi di trasporto? L’evento “padre Pio” si spiega soltanto ammettendo che l’uomo ha una gran sete di Dio, ha gran sete oggi di luci di speranza, e avverte in sè i “luoghi” in cui tale sete viene soddisfatta. A questo proposito nostro Signore disse: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno!» (Gv 7, 37-38). Il cappuccino del Sannio è uno di quegli assetati di Dio che, bevendo a sorsi pieni alla sorgente di Verità - ossia Cristo Gesù - ha reso se stesso, a sua volta, un fiume cui tutti possono dissetarsi di grazia divina e quindi di speranza cristiana; non a caso il titolo di una biografia lo qualifica come L’uomo della speranza[1].

É opportuno ricordare che la speranza cristiana non è un semplice ottimismo umano, ma qualcosa di molto più grande, una virtù infusa in noi da Dio, un dono dello Spirito Santo, un “seme” che al momento del battesimo viene immesso nell’anima nostra e che il Signore coltiva lungo il corso della vita, solo che noi ci lasciamo guidare docilmente dalla sua azione.

Padre Pio coglie l’occasione in ogni evento comune o straordinario della vita per crescere in questa virtù teologale; ne abbiamo un saggio nelle testimonianze inserite nella Positio super virtutibus inerenti a questo tema[2]. Per lui sperare significava anzitutto: confidare nella misericordia di Dio e nei meriti di Gesù Cristo; anelare non a beni che passano ma alla gloria eterna, al Paradiso, con perfetto distacco dalle cose del mondo; saper mantenere la serenità di spirito di fronte alle prove, anche dinanzi a quelle particolarmente dure[3]. Alcuni confratelli affermano che sulle sue labbra affiorava sempre l’esortazione: «Speriamo nella misericordia di Dio!», oppure: «Speriamo nella bontà di Dio!»[4]. A conferma di ciò, Alessandro da Ripabottoni ci informa che nelle sue conferenze in qualità di precettore dei seminaristi del convento di San Giovanni Rotondo, egli parlasse prima di tutto della misericordia e della bontà di Dio, e questo faceva a proposito della virtù della speranza[5].

Benedetto XVI sostiene che la speranza cristiana è strettamente connessa alla fede[6]. Anche per il frate di Pietrelcina infatti sperare è anzitutto credere, nonostante le apparenze non favorevoli, che Dio è buono, non abbandona mai la sua creatura e il suo amore non tiene conto delle debolezze umane. Così scrive infatti a Erminia Gargani il 14 dicembre 1919: «Nutrisci la tua anima nello spirito di cordiale confidenza in Dio ed a misura che ti troverai circondata di imperfezioni e di miserie solleva il tuo coraggio a bene sperare»[7]. Di conseguenza, secondo padre Pio, la speranza cristiana non teme di nulla ma si abbandona alle cure divine anche quando si trova nella tribolazione: «Quello che poi mi affligge, si è nel vedere gli sforzi formidabili che il nemico vi muove. Intanto voi non perdetevi d’animo, Gesù è sempre al vostro fianco, egli combatterà sempre con voi e per voi ed il nemico sarà, come sempre, completamente debellato. Abbandonatevi pienamente sul cuore divino di Gesù, come un pargolo tra le braccia della madre»[8].

Benedetto XVI tra i luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza addita quelli della preghiera e della sofferenza[9].

Il cappuccino sannita quando scrive la suddetta lettera risiede a Pietrelcina per una malattia che padre Agostino nel suo Diario definisce “misteriosa“; soffre fisicamente, moralmente e spiritualmente, per numerosi disturbi fisici, tentazioni di ogni genere - tra cui la disperazione[10], i dubbi sulla presenza di Cristo nella sua vita e sul gradimento divino della sua anima – assenza di consolazioni umane e spirituali, continue prove di fede. Lo Spirito Santo lo prepara così alla sua missione universale a corredimere con Cristo, e in questo stato di dolorosa purificazione, mentre le circostanze della vita gli suggeriscono che Dio lo ha abbandonato, egli più volte vince la tentazione di disperare facendo sua la preghiera di  Giobbe; scrive infatti a padre Agostino il 25 agosto 1915: «Avvenga quello che Iddio ha stabilito di me; ma io in ogni modo spererò sempre in lui e la mia voce sempre più forte a lui s’innalzerà: “Etiam si occideris me, in te sperabo” [Gb 13, 15]»[11].

Questa incrollabile speranza nel magistero spirituale del Santo del Gargano poggia, per così dire, su due colonne: lo scorgere l’amore di Dio per noi in ogni circostanza della vita, specie nelle avversità, e il desiderare la piena unione con Dio in Paradiso: «Figliola mia, quanto mi addolora saperti afflitta da dolori fisici e morali, e non so cosa farei per poterli alleggerire. [...] Ma questo Dio di amore vuole provare i suoi eletti come il ferro al fuoco perchè possano entrare nell’eterno edificio, nella celeste Gerusalemme. Non dubitare, figliuola mia, della divina predilezione. É per amore che egli ti prova [...] Non credere che all’infuori di questa notte egli si tenga lontano da te. No, egli è sempre a te vicino per prestarti tutti quei conforti necessari a che tu possa combattere e vincere ed arricchirti di meriti per il cielo»[12].

Vivere in tale stato di fiducia, al dire di Benedetto XVI, è valida testimonianza di fede, la quale a sua volta è “sostanza delle cose che si sperano, prova delle cose che non si vedono” (cfr. Eb 11, 1)[13]. Per questo il cappuccino del Gargano imparerà ad amare la croce quotidiana, essendo essa segno di elezione divina. La Croce di Cristo per padre Pio diviene l’unica speranza, come suggerisce la liturgia del venerdì santo, in quanto capace di trasformare le nostre croci in pegni d’amore per il Cielo.

Di più, per essere veri testimoni di speranza cristiana è necessario vivere nella grazia di Dio, pregustando così la gioia celeste dell’amicizia con Dio già su questa terra; se la preghiera fiduciosa, per il frate di Pietrelcina, alimenta la speranza, quest’ultima viene certamente meno con il peccato. Scrive infatti nel Breve discorso per il giorno di Pasqua: «Siccome Gesù Cristo è risorto immortale alla vita di gloria, così, a dire con lo stesso S. Paolo, dobbiamo noi pure risorgere immortali alla vita di grazia, con fermo proposito di non voler mai più per l’avvenire, soggiacere alla morte spirituale dell’anima»[14].

Il cammino del cristiano che spera, quindi, non si ferma al presente, ma guarda fiducioso al domani; così esorta padre Pio: «Questo studio, questo sforzo di perseverare nel bene, per quanto ci possa riuscire di sacrificio, non ci parrà troppo lungo. Passeranno anche per noi questi quaranta giorni che mancano alla salita al cielo. Non saranno giorni poi, ma saranno mesi, saranno forse anni: io vi auguro, o fratelli, una vita lunga e prosperosa, piena di benedizioni celesti e terrene. Ma, finalmente questa vita finirà! Ed allora felici noi, se ci saremo assicurati la gioia di un felice passaggio all’eternità. Allora la nostra risurrezione sarà completa. Non più pericoli di perdere la grazia, non più patimenti, non più morte, ma sempiterna vita con Gesù Cristo nel cielo»[15].


 

[1] Cf R. Allegri, Padre Pio. L’uomo della speranza, O. Mondadori, Milano 1984.

[2] Cf G. Di Flumeri, Il Beato Padre Pio da Pietrelcina, Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 2000.

[3] Cf  Ibid., 176.

[4] Cf  Ibid., 178.

[5] Cfr. Alessandro da Ripabottoni, Padre Pio ci ruba i figli, p. 96.

[6] Cf Benedetto XI, Spe salvi 7.

[7] Ep. III, 774.

[8] Ibid., 55: ad Annita Rodote, 6 febbr. 1915.

[9] Cf Benedetto XI, Spe salvi 32-40.

[10] Cf Ep. I, 219. 224.

[11] Ibid., 634. La traduzione dell’espressione biblica sarebbe: «Anche se mi uccidessi, continuerò a sperare in te».

[12] Ep. III, 526: a Rachelina Russo, dic. 1918.

[13] Cf Benedetto XI, Spe salvi 7.

[14] Pio da Pietrelcina, Breve discorso per il giorno di Pasqua, in Ep. IV, 1120.

[15] Ibid., 1121.

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